giovedì 6 agosto 2015



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NON COME LORO 

 

NON COME LORO 


di ROSSELLA OR

Di questo incantato spettacolo di Rossella Or che racconta senza raccontare ma soltanto facendo intuire un incontro sognato, Mario Prosperi regista riesce a fare afferrare i significati reconditi; ma piu che di significati diremmo trattarsi di sensazioni inesprimibili.


Il testo poetico è destinato ad una performance della sua autrice che si confronta in un'azione rarefatta e nitidissima con una figura maschíle che è una propria oniríca proiezione; la sua identità, come appunto in alcuni sogni, è ignota; figlia dell'immaginario ma non dell'imprevisto, cioè del desiderio.


E perciò le domande che nutrono il dialogo, cucito con una sorta di umorismo penetrante e straniato al tempo stesso, girano attorno a soggetti inevitabili e centrali nella psiche: I'attesa della morte e il senso della vita; e cosa c'è di mortale e cosa di vitale nell'arte e nella coscienza dell'arte.

La performance di Fabio Collepiccolo arricchisce come un confronto necessario, anche formale e letterario, l'azione onirica di Rossella Or., e l'incontro fra la figura femminile e quella maschile si delinea come una sorta di dialogo interiore ed il bosco rarefatto, dalla luce a tratti abbacinante o languida, è un'invenzione di Valerio Di Filippo, che sottrae peso all'ambiente e 1o rende spirituale.

TEMPO DI FUGA 

 
 

Dal 5 al 16 dicembre 2012 e dal 6 al 17 Marzo 2013

“TEMPO DI FUGA”

di Mario Prosperi - regia di Mario Prosperi

con
Mario Prosperi
Rossella Or
Yavan Wolde




Le suggestioni del teatro cinese in una inedita storia d’amore ripercorsa nella memoria dei protagonisti in una sorta di atrio della vita futura.
Gli spettatori sono i giudici cui, dopo l’esame che i due conviventi dovranno sostenere, si chiederà conferma della loro accoglienza
La pièce andrà in scena fino a domenica 16 dicembre 2012. Mario Prosperi, Rossella Or e Yavan Wolde sono impegnati in un nuovo testo dello stesso Prosperi, che ne firma anche la regia, “Tempo di Fuga” in cui si riportano suggestioni di uno spettacolo cinese visto al Festival del Cairo del 2005, soprattutto l’idea formale di base: un esame post-mortem di due conviventi lasciatisi da molti anni e morti per qualche ragione nello stesso istante all’insaputa l’uno dell’altro.
I due si incontrano in un androne, che potrebbe essere l’anticamera di una specie di Ade, ma qui non si riconoscono subito, malgrado inizino a raccontare le loro storie. In conclusione non passano l’esame e ottengono una nuova chance di rivivere la loro storia. Tutti i contenuti però e lo svolgimento stesso di questa storia sono di mano di Mario Prosperi e tratti da materiali appartenenti a un’anamnesi della sua vita.
La persona evocata in questa storia è presente col suo ruolo nello spettacolo: Rossella Or.
La recitazione che il modello cinese suggerisce è un pò fissa e traslucida, come sotto choc. In un androne, una specie di garage, un uomo e una donna sono soggetti alle cure di un infermiere. Il tono è rarefatto.
L’infermiere è forse un angelo? L’uomo e la donna, al termine di un primo tempo in cui si sono raccontati, insieme e separatamente, per invito dell’angelo, riconoscono di essere persone che in vita si conoscevano più che bene. Sono stati anzi sul punto di sposarsi, più volte, ma impreviste fughe hanno sempre posposto il compimento di queste nozze; fino a questa interruzione, forse definitiva.
Ma l’esame non dà esito invece definitivo. La seduta è sospesa.Nel secondo tempo, tornati nella vita, i due si sono di nuovo persi di vista. Lui intende non perseguire i progetti artistici della sua vita precedente e si attrezza per tentare un tipo di produzione postmoderna globalizzata di massa.
L’angelo lo asseconda e lo finanzia. Ora è nella tentazione. Cerca una segretaria mediante un’inserzione e la persona che sceglie, senza riconoscerla, è la donna incontrata nell’androne ove si svolse l’azione che entrambi nel ricordo definiscono come un sogno.
La relazione con lei riconduce ineluttabilmente lui a se stesso e l’angelo li pone di nuovo davanti all’esame. Questa volta però si sono conosciuti, la loro fuga ne ha mantenuta viva l’anima, ha fatto superare la prova.
I giudici sono gli spettatori, ai quali è chiesta una conferma.

Al Teatro Sala Uno
Roma – P.zza di Porta S. Giovanni, 10 (dietro la Scala Santa)
Info e prenotazioni: tel: 06 98182993 - info@salauno.it
ORARI: dal lunedì al sabato ore 21.00 / Domenica 9 e 16 dicembre ore 18.00 Biglietti: Euro 12.00 Intero / Euro 9,00 Ridotto / + 2 Euro di Tessera

TEMPO DI FUGA di Mario Prosperi – regia di Mario Prosperi
con: Mario Prosperi, Rossella Or e Yavan Wolde
Scena e luci Valerio Di Filippo
Musiche Paolo Modugno
Aiuto regista, fonica Roberto Zorzut
Foto Fabio Gaigher
Costumi Helga Williams
Allestimento Dimitri Sinapi
Ufficio Stampa Associazione Politecnico Teatro
Maria Rita Parroccini mariaritaparroccini@gmail.com

NOTE sugli attori:

Mario Prosperi
Mario Prosperi è autore di sceneggiature televisive e cinematografiche (L’Odissea e L’Eneide), di traduzioni e adattamenti di classici (I discorsi di Lisia ed Il Governo di Verre per l’interpretazione di Renzo Giovampietro, I Persiani per la regia di Vittorio Cottafavi); i due capolavori di Menandro: La donna di Samo (1979) e L’arbitrato (2004) curati anche come regista. Come autore ha esordito alla Biennale di Venezia nel 1969 con La persecuzione e la morte di Girolamo Savonarola. Nel 1973 fonda con altri l’associazione del “Politecnico” che ha gestito (fino all’ottobre 2008) il Teatro di questo nome. Nel 1978 vince il Premio IDI con il testo Felicitas. Nello stesso anno inizia un’attività di autore-attore con una serie di spettacoli che continua tutt’ora. I titoli più noti: Zio Mario, Produzione De Cerasis (sul produttore Dino De Laurentiis), Mussolini e il suo doppio. Nel 2000 un suo testo su Sant’Agostino (La città di Dio) è tra i nove selezionati e pubblicati del Concorso Internazionale di Drammaturgia Religiosa per il Giubileo. Si è dedicato recentemente allo studio dell’arabo ed ha scritto una commedia, L’Islamico, che ha avuto molto consenso.

Rossella Or
Rossella Or ha fatto teatro a Roma dal 1973. Soprattutto ha partecipato attivamente a quella che viene definita la scuola romana d’avanguardia, nel campo della ricerca.
Ha partecipato in forma di voce a esperienze di musica contemporanea dal vivo ed elettronica lavorando coi musicisti Antonello Neri, Alvin Curran, Michiko Hirayama.
Ha lavorato in teatro con i registi Memè Perlini, Simone Carella, Giorgio Barberio Corsetti, Mario Prosperi. Oltre ad essere autrice di alcune performances, in Italia, in Europa e negli Stati Uniti.
Dall’inizio degli anni ‘80 ha lavorato come interprete di autori viventi, per un teatro di parola contemporaneo. In forma di lettrice ha partecipato all’organizzazione dei tre Festival Internazionali dei Poeti, che si sono svolti a Roma nel ’79, ’80 e ’81.
Ha eseguito testi da Cechov, Kafka, Pirandello, Ovidio, Musil, Bernhard, Breton, Bataille, Handke, Beckett.
Ha curato seminari di respiro e di gesto alla “Salle Patino” di Ginevra e alla Sala Borromini di Roma.
È in allestimento una raccolta di suoi versi. 

Alcuni dei suoi spettacoli:
·    Dichiarazione d’inerzia della stessa Rossella Or,
·      Pirandello chi? di Memè Perlini.
·      Tarzan! di Burroughs, regia di Memè Perlini,
·      Locus Solus di Raymond Roussel, regia di Memè Perlini, al Cafè LaMama di N.Y.
·      Il Presidente di Mario Prosperi. Rossella nel ruolo della doppiatrice di cartoons. Debutto all’Alberico, replica al Tordinona e giro ETI 1980-81
·      Nadja di Mario Prosperi (da Breton), protagonista Rossella Or, nella rassegna L’eredità del surrealismo. Replica a Napoli al Teatro Nuovo diretto da Annibale Ruccello.
·      La notte spagnola di Rossella Or, regia di Mario Prosperi (dal romanzo di George Bataille Le bleu du ciel).
·      Andy Warhol lungo addio, di Rossella Or, con Mario Prosperi in qualità di regista, Verushka Proscina, Fabio Collepiccolo, Roberto Zorzut e la stessa Rossella Or.
·      Come è di Samuel Beckett, traduzione di Franco Quadri, regia e interpretazione di Rossella Or, replicato all’Aula Magna dell’Università di Roma.
·      Sleep, serata di letture in onore di Amelia Rosselli.
·      Presente di Rossella Or, dall’Appendice di Musil all’ Uomo senza qualità, con Fabio Collepiccolo, Giada Prandi e la stessa Rossella Or.
·      La voce umana di Jean Cocteau, monologo di Rossella Or. Inizialmente messo in scena al Teatro La Piramide nel 1987, poi ripreso al Politecnico nel 2008 e replicato al Teatro Colosseo Nuovo.
·      Studi per Ofelia di Rossella Or, composizione poetico drammatica con musiche di Paolo Modugno: temi di Ofelia e temi di Euridice si intrecciano: un cieco narratore e due poli della coppia di due possibili Romeo e Giulietta, di diverse età ed epoche, o come variante un Orfeo ed una Euridice. Spettacolo di Rossella Or. 
Lei di Rossella Or. Debutto al Teatro degli Artisti diretto da Simone Carella nel 1997. Ripreso al Teatro Colosseo Nuovo nel 2011.

martedì 29 aprile 2014

 

SAULO DI TARSO 

 














lunedì 28 aprile 2014

BARBONI 

 



DAL 13 AL 21 APRILE 2013
in scena
BARBONI
di MARICLA BOGGIO
regia di MARIO PROSPERI
scene e luci di Valerio Di Filippo
aiuto regia e foto Fabio Gaigher
musiche eseguite al violino da Iris Walther
costumi di Helga Williams
con
MARIO PROSPERI
PAOLA SEBASTIANI
GINO NARDELLA
ROBERTO ZORZUT
BEATRICE MESSA
GABRIELE GRANITO
Col titolo Barboni: favola metropolitana Mario Prosperi si accinge a mettere in scena il quarto testo di Maricla Boggio, dopo Doppiaggio (2003), Sibilla (2007) e Scena prima (2011).
Si tratta del primo che viene presentato come progetto finanziato dalla Regione Lazio al Teatro sala Uno, ma si sono citati i precedenti perché provano una convergenza artistica. Il testo di cui parliamo è impertinente e puntuale, perché i barboni che troviamo in esso sono - come dire? - neobarboni: sono esponenti di una classe media ridotta ai cartoni.
C’è chi ha una motivazione di libertà, di ribellione, chi invece in questa libertà si è trovato a causa di un licenziamento; c’è un barbone “da generazioni”, qualcuno per cui è uno stile di vita ereditario; c’è chi grida al vento maledizioni al coniuge infedele, chi dà fuoco ai cartoni in cui vivono i barboni, col rischio di bruciarli vivi, c’è un universitario che li soccorre come volontario della Caritas e una suora – suor Palla – che cucina polpette da distribuire.
La trama si movimenta quando un’ex attrice, Gloria, capita nel suo vagabondaggio sotto il portico di un palazzo dove riconosce tra il piccolo popolo dei senza casa un gentiluomo, ora in fuga da se stesso, con cui condivise un periodo più fortunato della vita. Gloria gli rivela che sta pensando ad un film sui barboni, una “favola metropolitana”, per cui vuole conoscerli bene, fare per un po’ la stessa vita, interrogare i loro destini.
E le viene rivelato intanto che il gentiluomo sta lui stesso studiando i suoi compagni di emarginazione con un fine di utilità sociale: dà loro una possibilità, con piccole somme di cui non rivela la provenienza, di intraprendere attività di loro scelta, purché con un impegno di continuità, e in tal modo combatte la loro autodissoluzione. Questo appare subito a Gloria il soggetto che cercava: il sapore amaro, anche disperato, di una condizione che si considera senza ritorno trova la contraddizione e il sollievo di qualcuno che fa un esercizio volontario di fiducia, ma ricevendo anche un utile dall’impiego delle persone che riscatta dalla miseria.
La scena sarà affidata a Valerio Di Filippo, i costumi ad Helga Williams, le musiche saranno suonate dal vivo con il violino da Iris Walther, i ruoli saranno affidati a Mario Prosperi (il principe), Paola Sebastiani (Gloria), Gino Nardella (un barbone chiamato “Internet” perché non lascia mai il computer), Roberto Zorzut (il barbone “da generazioni” che recupera alberi di natale e altre piante), Beatrice Messa (una metallara in rivolta da una famiglia pariolina), Gabriele Granito (il volontario della Caritas che distribuisce le polpette di suor Palla).
13-21 aprile 2013
Tutte le sere alle 21 - la domenica alle 18
Biglietto intero euro 12, ridotto euro 9
SalaUno Teatro – P. zza di Porta San Giovanni, 10




Recensione:

Dal 13 al 21 aprile. Mettiamo che i poveri di Zavattini e De Sica, capitanati da un angelo sceso dal cielo o "nato sotto un cavolo" come Totò il buono, una volta decollati con le scope per lasciarsi dietro letti di cartoni e baracche di lamiera, giungano veramente in quel luogo di sogni e di umanità realizzata dove "buongiorno vuol dire ancora – è una battuta del film “Miracolo a Milano” del 1952 – buongiorno". La metafora ideologica ammantata di favola di Zavattini non offriva una reale possibilità di riscatto, lasciando tutto come in sospeso nella dimensione onirica: i “Ladri di biciclette”, il film del 1948 dello stesso duo Zavattini-De Sica, dopo solo cinque anni non solo non avevano ancora trovato una via di uscita dalla miseria e dalla disperazione, ma addirittura, se volevano sottrarsi alla loro condizione, non avevano altra scelta che volarsene via, forse all’altro mondo, oppure all’estero. La critica marxista pensò al paradiso dell’Unione Sovietica, quella conservatrice all’eden del capitalismo americano: il che assicurò comunque al film una rissa ideologica con accuse di ipocrisia e qualunquismo da tutte le parti, da destra e da sinistra.
  

BARBONI
di Maricla Boggio
regia di Mario Prosperi
scene e luci di Valerio Di Filippo
aiuto regia e foto Fabio Gaigher
musiche eseguite al violino da Iris Walther
costumi di Helga Williams
con Mario Prosperi, Paola Sebastiani, Gino Nardella, Roberto Zorzut, Beatrice Messa, Gabriele Granito
Al genere della "favola metropolitana" costruita da Zavattini coi romanzi “I poveri sono matti” (1937) e “Totò il buono” (1943), oltre che coi due film appena citati, si riaggancia idealmente il testo “Barboni” di Maricla Boggio in scena al Teatro Sala Uno per la regia di Mario Prosperi. Sono gli stessi personaggi a fare chiarezza sulla forma della loro commedia, appunto definendola una "favola metropolitana" che ha come presupposti non solo i lavori di Zavattini e De Sica, ma anche archetipi come la cinquecentesca “Commedia degli straccioni” di Annibal Caro, la elisabettiana “Opera dei mendicanti” da cui Brecht trasse “L’opera da tre soldi” in tempi più recenti. E’ curioso e originale che le stesse battute del lavoro di Maricla Boggio contengano i riferimenti e i chiarimenti essenziali. Così pure il capolavoro di Brecht viene citato, ma per differenziarsi: si tratta cioé, veniamo avvertiti, di un’Opera da tre soldi alla rovescia, lì erano dei finti malviventi a sfruttare dei poveri diavoli che si fingono storpi e monchi per elemosinare, mentre qui la finzione è rappresentata da un barbone che barbone non è. Ma è un ricco aristocratico che si traveste per aiutare, ecco la favola di Totò il buono, i poveracci finiti tra i cartoni per colpa di un sistema finanziario che ha ridotto sul lastrico anche il ceto medio.
L’elemento fiabesco gira tutto intorno al personaggio di Eddy, ottimamente interpretato dallo stesso Mario Prosperi, il finto barbone, ovvero il ricco nobile inglese dal buon cuore che si trasferisce nelle strade della metropoli a vivere tra i cartoni per individuare le anime belle del "sottosuolo" della città e al fine di aiutarle economicamente per rimettersi in carreggiata. Purché, ecco l’unica condizione del patto, costoro si impegnino ad aiutare a loro volta un altro disgraziato che non ha perso la speranza.
Accennavo prima al cinema di Zavattini e De Sica, ma direi anche qualcosa de “La strada” di Pinelli-Fellini: rimandi e richiami a questi monumentali esempi della quinta arte vengono gettati sul tappeto e li ritroviamo ad esempio in Gloria, un’altra finta barbona, in realtà una sofisticata film-maker, che si immerge nella miseria della vita sotto ai ponti per farne un film recitato dai barboni stessi: un’idea non tanto lontana dalle intenzioni del neorealismo dell’immediato dopoguerra.
Il testo di Maricla Boggio è umanissimo e sincero, onesto nelle sue intenzioni morali, etiche e sociali, scritto con commossa leggerezza, che non è semplicità, nonostante affronti temi esistenziali seri e impegnativi come la caduta di una classe media, un tempo benestante, nei gironi infernali della dimensione dei senzatetto. Da un punto di vista strettamente ideologico questo “Barboni” non ha e non vuole avere il taglio della provocazione politica di uno Zavattini e nemmeno lo slancio rivoluzionario di un giovane Büchner (quello del “Woyzeck” che scrisse in un articolo “pace alla capanne, guerra ai palazzi”). Qui ci troviamo piuttosto di fronte ad un’ideologia "positivistica", la speranza che le cose vadano bene anche per i poveri nutrita da un Dickens, con l’happy end del ballo a palazzo dove i derelitti, rinati a nuova vita, saranno invitati per festeggiare la loro rinascita.
Ma c’è veramente da festeggiare? O non è solo un sogno questo finale da “e vissero felici e contenti”, come suggerisce la strindberghiana “danza tragica” che prende il posto del ballo delle cenerentole e “cenerentoli” vari? Mi sembra di intuire anche dalla scelta della nitida regia di Mario Prosperi l’intenzione di optare per questa soluzione finale più criticamente ideologica: la pantomima del ballo a palazzo al suono di un inquietante violino risveglia più angoscia che certezza nel domani. Domani tutti si risveglieranno probabilmente, anzi sicuramente, tra i cartoni.
Veramente bravi gli attori che meritano una menzione: Paola Sebastiani (Gloria), Beatrice Messa spiritosissima ed euforica, a tratti isterica, punkabbestia, come pure Gino Nardella, Roberto Zorzut e Gabriele Granito: tutti attenti a dare umanità e profondità all’intreccio drammatico delle loro storie.

SalaUno Teatro - Piazza di Porta San Giovanni 10, Roma
Per informazioni e prenotazioni: telefono 06/98182993, mail info@salauno.it
Orario spettacoli: tutte le sere alle 21, domenica alle 18
Biglietti: intero euro 12, ridotto euro 9

Articolo di: Enrico Bernard
Grazie a: Ufficio stampa Giulia Contadini
Sul web: www.salauno.it
Maricla Boggio

MEDEA 


L’ Ass. Cult. POLITECNICO TEATRO
presenta
“MEDEA”
Di Euripide
Adattamento di  Paola Scotto di Tella
Regia di Giovanni Nardoni

TEATRO AMBRA ALLA GARBATELLA
Piazza Giovanni da Triora 15
Dal 28 gennaio al 21 marzo 2014
Ore 10.30
Ingresso 10 euro



NOTE DI REGIA
“O sventurata mia mano, afferra il pugnale, afferralo, avviati verso una vita di dolore, e non essere vile, non pensare alle tue creature, ma almeno per il breve spazio di questo giorno dimentica i tuoi figli, e poi piangi”
                                                                             (da MEDEA Episodio V)
La Medea di Euripide, rappresentata per la prima volta nel 431 a.C. è un’opera di incredibile modernità. Già all’epoca ebbe notevole fortuna e incontrò il favore del pubblico, diventando, successivamente, esempio per quanti volevano misurarsi con questo materiale sfaccettato e complesso (da Ennio a Seneca, da Corneille fino a Corrado Alvaro).
La tragedia, mirabilmente costruita, ruota intorno alla figura femminile di Medea, tradita e abbandonata dal marito che sceglie di sposare la figlia del re Creonte per soddisfare la sua insaziabile sete di potere. Ma l’eroina euripidea non cede alla sua disperazione, non cede all’arroganza maschile e traendo forza da tutto quel suo sapere barbaro, che tanto l’aveva resa famosa in terra greca, elabora la sua vendetta.
Nel monologo del I episodio Medea si rivolge alle donne di Corinto, criticando e commiserando la condizione femminile che è completamente soggetta all’arbitrio dell’uomo. Ma il suo discorso ci porta molto più avanti, investendoci con la sua carica eversiva, arrivando a mostrarci una protagonista che da oltraggiata e offesa diventa vendicatrice e punitrice.
Il suo temperamento la porterà, anche se tra mille ripensamenti, ad andare fino in fondo nella sua volontà di punire l’uomo che le ha distrutto la vita. Si definisce così una nuova figura di donna, dotata di autonomia intellettuale che, offesa dall’abbandono ed esiliata, non soggiace, ma reagisce e si vendica. E così, mentre nelle opere degli altri due grandi tragediografi greci, Eschilo e Sofocle, il dramma si compie a causa della tensione tra il protagonista e la legge divina alla quale questi si deve adeguare, nelle tragedie di Euripide il dramma diventa interiore al personaggio: Medea è in lotta con se stessa.
Questa mia seconda messa in scena di Medea si avvale, nei colori e nelle linee, di quel mondo “primitivo – astorico” raccontato dal grande poeta Pasolini, evidenziando il profondo significato della pienezza del vuoto dove il palcoscenico, trasformandosi in un enorme scatola nera, diventa contenitore delle terribili ombre delle passioni umane ed il pubblico, scandendo il ritmo tragico, rispecchia se stesso nelle sue potenziali e terribili aberrazioni.
Giovanni Nardoni